Ildefonso Falcones: “Letteratura? Io gioco in un’altra divisione”.

Ildefonso Falcones: “Letteratura? Io gioco in un’altra divisione”.

Idelfonso FalconesUna delle esperienze più piacevoli che ti possano capitare è quella di smontare un pregiudizio. Mi è accaduto con Ildefonos Falcones, avvocato barcellonese classe 1959, divenuto mondialmente famoso nel 2006 con La cattedrale del mare (Longanesi), bestseller  da sette milioni di copie (di cui un milione solo in Italia).

Mi avevano parlato dello scrittore come una persona molto riservata e poco incline al dialogo, così mi sono presentata all’intervista con la convinzione che la nostra sarebbe stata una conversazione rapida e formale. Invece, in una soleggiata mattina d’ottobre, Falcones mi ha ricevuto al Club di polo di Barcellona, luogo a lui caro dal momento che è un amante dei cavalli e un fantino provetto e mi sono trovata davanti una persona estremamente disponibile e simpatica, oltre che un ottimo oratore. Col sorriso e con pazienza, Falcones ha risposto a tutte le domande che probabilmente centinaia di giornalisti gli avevano già posto in questi mesi, dato che in Spagna La regina scalza (Longanesi), nelle librerie italiane da oggi 11 novembre, è uscito lo scorso giugno. Una chiacchierata interessante in cui lo scrittore non si morde la lingua quando si tratta di esporsi su temi delicati quali la deriva nazionalista che impera nella sua Catalogna o quando risponde ai critici che lo accusano di scrivere libri puramente commerciali.

Cominciamo da una domanda classica su La regina scalza. Come è nata l’idea di dedicare un libro ai gitani?

No, in realtà l’idea non nasce dai gitani ma dagli schiavi. Mi piaceva molto l’idea di parlare dell’epoca crudele della schiavitù nelle piantagioni di zucchero cubane da metà del XVIII a metà del XIX secolo. Centovent’anni più o meno di dominio della “sacarocrazia cubana” (la casta che possedeva le piantagioni e controllava il commercio dello zucchero) in cui la lavorazione non era meccanizzata e avveniva solo attraverso il lavoro manuale degli schiavi. In quell’epoca gli schiavi neri ricevettero il trattamento più duro e crudele della storia. Ho studiato molto, specialmente la loro musica. Gli schiavi facevano tutto cantando: parlavano con il loro Dio e lavoravano senza smettere di cantare, perché si diceva che se uno schiavo cantava non poteva pensare e lavorava di più. Però andare a Cuba per scrivere il libro mi complicava troppo la vita, così ho deciso di portami qui la schiava. Il personaggio di Caridad è nato così. L’intreccio con le vicende dei gitani, la creazione del flamenco attraverso la fusione tra musica nera e gitana è stata una naturale conseguenza.

Quanto è durata la fase di ricerca per poter scrivere il libro?

In tutto ho impiegato tre anni, ma ricerca e scrittura non sono fasi separate. Quando cominci a studiare, se vedi che la storia che hai in mente funziona, puoi scrivere e continuare a documentarti allo stesso tempo.

Le tue storie sono sempre lunghe e complesse; fai degli schemi per riuscire a scriverle?

Sì, altrimenti sarebbe impossibile. Ho una sceneggiatura precisa. Io credo che lo scrittore che non ha bisogno di schemi è quello che scrive un libro di centocinquanta pagine al massimo, parlando dell’amore, della vendetta o della solitudine. Si potrebbero scrivere anche cinquecento pagine sulla solitudine… Se tu però scrivi trame di avventura, passione, matrimoni, denaro e non so che altro, non puoi rischiare di arrivare a pagina seicento e scoprire che la storia non ti quadra.

Hai visitato tutti i luoghi di cui parli nel libro?

Sì, certo, ci sono stato. È importante conoscerli. È per questo che ho rinunciato all’idea di ambientare il libro a Cuba.

la regina scalzaC’è un personaggio che prediligi tra i protagonisti de La regina scalza?

No, sono tutti miei, non posso avere dei preferiti.

Nemmeno tra Milagros e Caridad, le due protagoniste, hai una preferita?

No, credo che sia compito del lettore scegliere. Molti mi hanno detto di aver apprezzato Melchor più ancora delle due protagoniste femminili.

Hai avuto qualche momento di difficoltà nella stesura di un testo così complesso? Qualche parte che ti ha creato più problemi?

Io cerco scrivere tutti i giorni, è importante essere disciplinati, ma tutti abbiamo momenti buoni e altri meno. Capitano giorni in cui ti trovi bloccato perché scopri di non avere studiato abbastanza certi aspetti o di non aver chiare alcune situazioni e hai bisogno di approfondire di più.

Il successo ti ha cambiato la vita?

La vita un po’ cambia, è innegabile. Oggi sei qui, domani in Argentina, in Cile, in Germania, in Italia. Però tutto il resto è rimasto come prima. Vengo qui a montare a cavallo, vado in ufficio, anche se ho dovuto delegare di più, sto a casa con i miei figli, vado in vacanza a Sitges come sempre, insomma faccio una vita normale.

Hai quattro figli tra i 10 e 18 anni, come vivono il successo del papà?

Ogni tanto bisogna “abbassare loro le ali” perché è facile che a quell’età si montino la testa. Mi è capitato di sentirli dire «Siamo famosi» e di doverli correggere facendo notare loro che, sebbene non mi piaccia sottolinearlo, semmai, il famoso sono io. Loro non hanno ancora fatto nulla.

Hai fama di essere una persona molto schiva e riservata. Però oggigiorno a uno scrittore, specialmente se vende milioni di libri nel mondo, si chiede sempre di più di partecipare a eventi pubblici. Come gestisci questi obblighi professionali?

Trovo che le presentazioni facciano parte del lavoro dello scrittore, anche se non tutti gli scrittori lo capiscono e sono disposti a farle. Io, invece, credo che siano importanti e anche piacevoli. La gente ti accoglie con entusiasmo e ne puoi approfittare per unire l’utile al dilettevole. Devo andare in Argentina? Mi organizzo per arrivare a Buenos Aires un paio di giorni prima con mia moglie e fare il turista. Poi ci sono gli inviti a pranzo e a cena (a volte anche troppi) e le interviste, come questa di oggi, che non richiedono nessuno sforzo. Essere qui con te è piacevole. Sì, forse è vero che sono una persona riservata e a volte un po’ scontrosa, ma non ho mai detto di no a un giornalista né sono mai arrivato in ritardo a un’intervista.

Ci sono critiche che ti hanno dato fastidio.

Sì, quelle che invece di criticare il libro, criticano la persona e la sua vita. C’è gente che è arrivata a scrivere che ho non uno, ma ben undici ghost writer (lui usa il termine “negri” nda) che scrivono i libri al posto mio. Penso che tutti abbiano il diritto di criticare e se la critica viene da una fonte obiettiva mi sta bene. Oggi, tuttavia, la maggioranza dei critici sono a loro volta scrittori e in libreria i loro romanzi sono esposti a fianco ai miei. C’è un conflitto di interessi in questo mercato, chi critica è spesso un concorrente diretto del criticato e oltretutto se io fossi un critico letterario mi asterrei dal parlare male di romanzi di altri scrittori che pubblicano per la mia casa editrice. Diciamo che l’obiettività lascia un pò a desiderare in questi casi.

C’e anche chi dice che i tuoi romanzi non hanno nulla a che fare con la letteratura. Cosa rispondi?

Che va bene così. Io gioco in un’altra divisione, non so se migliore o peggiore, ma è un’altra cosa. Nelle case editrici oggi c’è la divisione letteraria e quella commerciale. Io sto in quella commerciale. Non voglio essere comparato con chi dice di fare letteratura, gente che appartiene a un circolo molto chiuso, che pretende di insegnarci a leggere e che difende in tutti modo il proprio spazio di potere. Ecco, sarà perché dico spesso queste cose che mi sono costruito la fama dell’insopportabile…

E invece quali sono i commenti positivi che ti hanno dato più soddisfazione?

Ricordo persone che avevano familiari malati gravi che mi hanno detto che leggere il mio libro, per i loro cari, è stato regalarsi ore di spensieratezza nonostante la malattia. Una bella soddisfazione.

Scrivi in spagnolo, nonostante tu sia catalano. In Italia si sa poco delle rivendicazioni nazionaliste di una parte della Catalogna, ma qui il fatto di essere di Barcellona e non usare la lingua locale è mal visto. Tu come giudichi quello che sta accadendo nella tua terra?

Un disastro assoluto. È difficile capire come in un paese occidentale tra i più avanzati del mondo, membro dell’Unione Europea, ci possa essere una parte che voglia l’indipendenza. Io dico sempre che a livello culturale noi catalani siamo già indipendenti e non abbiamo bisogno di separazioni che sarebbero economicamente catastrofiche. Io scrivo in spagnolo perché in casa mia si è sempre parlato solo in questa lingua e la mia formazione è stata totalmente in spagnolo. Leggo il giornale e qualche libro in catalano, ma la mia lingua è il castigliano. E per questo in Catalogna non mi si considera uno scrittore di qui. È assurdo.

C’è uno scrittore italiano attuale che ti piace?

Mi piacciono Manfredi e Camilleri.

Scriverai un libro che non sia storico un giorno?

Nella vita non si può mai dire, però pensa che a me piace scrivere libri storici, all’editore interessa che io li scriva e il pubblico dimostra di gradirli. Perché dovrei cambiare?

Prima di arrivare al successo, La cattedrale del Mare fu rifiutato da vari editori. Cosa vorresti dire oggi a chi ti aveva chiuso la porta in faccia?

Sì, il libro fu rifiutato praticamente da tutte le più grandi case editrici di Spagna, ma oggi non ho nulla da dire loro anche perché penso che sia un bene che sia andata così. Forse, se il romanzo fosse stato accettato da un altro editore non avrebbe avuto lo stesso successo. Il libro trionfò con un editore preciso in un momento preciso e con persone che avevano investito tempo ed energie nel progetto. Magari in mano altrui sarebbe stato un libro come tanti.

Tempo fa si era parlato di trarre un film da La Cattedrale del mare. È ancora in piedi il progetto? Per La regina scalza ci sono proposte?

I diritti de La Cattedrale del mare sono stati venduti per realizzare una serie televisiva. Ci stanno lavorando ma deve uscirne un serie di qualità. Per la Regina scalza non ho ancora ricevuto proposte.

La tua relazione con la tecnologia e i social media com’è?

Difficile. Ho Facebook e la pagina web, ma ho poco tempo e non sono un fanatico.

Libri di carta ed ebook. Come vedi il futuro del libro?

Sono sicuro che la carta sia destinata a morire. Esattamente come è accaduto con i dischi di vinile. Quello del libro elettronico è un mercato nuovo, non bisogna averne paura. A me i libri di carta piacciono, ma il futuro è un altro. Il problema è che bisogna affrontare è la pirateria.

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