Quel che resta della vita. Zeruya Shalev

Quel che resta della vita. Zeruya Shalev

Quel che resta della vitaQuel che resta della vita di Zeruya Shalev, scrittrice israeliana nata nel 1959 in un kibbutz, è un libro, edito da Feltrinelli, la cui recensione mi crea qualche in difficoltà e non perché non l’abbia amato, anzi, ma per l’enorme quantità di “affinità emotive” che ho incontrato nel corso delle 373 pagine che lo compongono.

Sono avvisate le lettrici ultraquarantenni alle prese con l’ingresso dei figli nell’adolescenza, genitori anziani da accudire, rapporti coniugali vittime dell’abitudine e la devastante sensazione di aver già vissuto le tappe migliori dell’esistenza e di doversi domandare cosa fare di sé con “quel che resta della vita”.

È questo il succo di un romanzo che parte dalla malattia di Hemda Horowitz, anziana madre di due figli, Dina e Avner, entrambi a loro volta genitori, per raccontare la storia di famiglia e il caleidoscopico, e spesso crudele, universo delle relazioni umane e familiari. Sullo sfondo, Israele e la sua politica.

Dina, sposata con Ghideon, un fotografo dai modi spicci e dai lunghi silenzi di cui è ancora molto innamorata, è madre di Nitzan, una quindicenne alle prese con le prime pene amorose, il cui ingresso nell’adolescenza conduce sua madre sull’orlo della depressione.

Quelle in cui Dina sente sfuggirle di mano l’infanzia di sua figlia, sempre più distante e chiusa in se stessa e si ritrova a rammentare con nostalgia i bei giorni in cui la ragazza era solo una bimba che adorava sua madre, sono pagine che graffiano l’anima di chi vive o sa che vivrà a breve lo stesso duro passaggio di vita:

In alto sopra le loro teste, c’è appesa la loro prima fotografia, ora le torna in mente quando Nitzan s’infilava nel lettone il sabato mattina, ogni tanto osservava la foto e diceva solennemente, voglio essere di nuovo piccola, voglio essere quella bambina appena nata e Dina si spaventava: la bambina le leggeva nel pensiero? Anche lei lo voleva e se ne vergognava: partorire di nuovo Nitzan, crescerla di nuovo.

Dina che nel parto aveva perso il gemello di Nitzan e negli anni successivi, d’accordo con il marito, aveva deciso di non avere altri figli, ora sente esplodere il desiderio di un bambino e propone di adottarne uno. Ma la famiglia ormai si regge su equilibri consolidati che né Ghideon né Nitzan vogliono toccare. Se davvero Dina vorrà riempire quel che resta della sua vita con l’amore per un figlio adottivo, dovrà essere disposta a rischiare di perdere quello dei suoi cari. Solo Avner, suo fratello, avvocato in piena crisi matrimoniale, la sostiene. La vicenda di quest’uomo, padre di due figli ancora piccoli ma alla ricerca del grande amore, mette il dito nella piaga delle incomprensioni e delle ipocrisie all’interno della coppia.

Zeruya Shalev utilizza uno stile prolisso e minuzioso, talvolta persino pedante, capace di scomporre ogni gesto dell’agire umano per individuarne le molteplici origini e le conseguenze che incatenano gli eventi tra loro. Un’esposizione impetuosa, in cui le voci dei protagonisti, i loro dialoghi, il loro sentire si mescolano alla voce narrante rendendo la lettura talvolta affascinante, altre più lenta e vischiosa.

Il dolore, l’angoscia per la malattia, la morte, il tempo che scorre, gli errori del passato e i dubbi sul futuro declinati in tutte le maniere possibili, in funzione dell’età del protagonista di turno, fanno di Quel che resta della vita un romanzo che va metabolizzato a piccole dosi per non rischiare un overdose di emozioni di segno negativo. Ed proprio così, gustandosi le pagine più intense e glissando su qualche situazione poco verosimile, che si giunge a scoprire che la vita può riservare gradite sorprese a tutte le età, magari proprio quando ogni speranza è già sfumata.

  • Titolo: Quel che resta della vita
  • Titolo originale: Shards of Life
  • Autore: Zeruya Shalev
  • Editore: Feltrinelli
  • Prezzo:  17€
  • Voto: 7

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